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il fanciullino 13

questo ti parlo con più gravità che io non soglia, e vorrei avere da te una risposta meno... come ho da dire? infantile?... poetica, che tu non costumi.



V.


Tu sai che io ti amo, o mio intimo benefattore, o invisibile coppiere del farmaco nepenthès e ácholon, contro il dolore e l’ira, o trovatore e custode d’un segreto tesoro di lagrime e sorrisi! E sai ancora che io non ti credo, come fanciullo, così irragionevole, nè stimo un perditempo l’ascoltarti quando detti dentro. Oh! no, molto ci corre. Sebbene qualche volta, a vedere le tiritere isosillabiche e omeoteleute (non ti spaventare! è come dire “versi rimati„) con le quali certi orecchianti vogliono far credere di far l’arte tua, anch’io rischio di pensare, come molti, che codesto parlare cadenzato e sonoro non sia naturale nè ragionevole. Ma è un momento. Dimentico quelle tiritere, e dico a te che per quel momento mi fissi tra spaurito e malcontento con codesti occhi che vedono con maraviglia; dico a te:

No no: non temere. Tu sei il fanciullo eterno, che vede tutto con maraviglia, tutto come per la prima volta. L’uomo le cose interne ed esterne, non le vede come le vedi tu: egli sa tanti particolari che tu non sai. Egli ha studiato e ha fatto suo pro’ degli studi degli altri. Sì che l’uomo dei nostri tempi sa più che quello dei tempi scorsi, e, a mano a mano che si risale, molto più e sempre più. I primi uomini non sapevano niente; sapevano quello che sai tu, fanciullo.