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146 MARIO RAPISARDI


    85Ma or vano è il pianto, e la virtù non giova.
Inesorata è l’ira
Come la morte. Un dì fu visto un fiero
Offeso figlio di Quirino, al piede
D’una madre depor l’armi e lo sdegno,
90Chè a la difficil prova
Quell’irato non resse. Or vano è il pianto,
Chè già ogni senso di pietà è distrutto,
Ogni virtù in oblio.
Un émpito per tutto
95Di ciechi studi e uno stridir di carra
E un rimpalmar di corazzate legna
E un batter di lucenti armi e una piena
Di furibondi. Libertà vegg’io
Da l’apalachie vette
100Fisar quegl’implacati odi, e la ria
Lotta sterminatrice, e al ciel, sdegnando,
Mira il guardo raggiante e la serena
Luce vagheggia ove tornar desia.

    Ed ecco allor sui combattuti campi
105Nebbia feral si stende
E i pugnanti nel grembo atro ravvolge:
Una torbida fiamma ecco s’accende
Fra la notte e l’orror. Come gigante
Balza fuor da l’avello
110Di Vasintón l’irata ombra, e agl’irati
Si leva in mezzo, ed, Ove, ove correte,
Ove correte, ei grida, o forsennati?
A chi nemici incontro,
A che battaglia, a che vittoria? Oh stolti,
115E son fraterni petti
Che correte a ferir? L’istesso cielo
Non vi sorrise, e vita e patria e nome