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loni, ad andare sull’altalena e a giuocare a palla. La festa massima, per i piccoli indiani, è quella che si celebra per il ritorno di Rama. I genitori, anche poveri, fanno di tutto per guadagnare un po’ di denaro e procurare qualche divertimento ai loro piccini, divertimento che consiste nel mandarli sull’altalena, nel far fare loro qualche giro sopra un elefante o un cammello, e comprare qualcuno dei balocchi di cui ho parlato sopra.

I ragazzi indiani si baloccano con la terra impastata con l’acqua, come tutti gli altri ragazzi del mondo, ma, cosa strana, essi danno ai loro pasticci di fango la forma di tombe, che adornano di fiori e foglie, come le tombe dei loro antichi.

I bambini indiani incominciano ad andare a scuola all’età di cinque o sei anni; molti però sono istruiti da maestri, che vanno a casa di uno degli alunni, dove convengono altri due o tre ragazzi indigeni.

Nelle scuole, ogni classe è formata da otto o dieci alunni, i quali stanno seduti sotto un porticato, che serve d’ingresso. Il maestro sta in una estremità del portico con una bacchetta in mano, e i bambini nell’altra, curvi sui libri, e dondolandosi avanti e indietro mentre leggono.

Essi non imparano a scrivere le lettere dell’alfabeto come in Europa. I ragazzi prima tracciano le lettere in terra, nel fango o nella sabbia, con le dita o con un fuscellino, e quando hanno imparato, scrivono su tavolette di legno, chiamate tokkis, con l’inchiostro indiano-rosso. I bambini indù scrivono invece col gesso.

I bambini indiani hanno, in genere, un’attitudine speciale per l’aritmetica. Ordinariamente non sommano sulla lavagna; scrivono invece i numeri sulle foglie di palma con un ferro.

     9. — Perodi.