Pagina:Petrarca - Il mio segreto, Venezia, 1839.djvu/82

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molte cose ti abbandoni, e quante guise di arti v’abbiano in cui non t'è dato agguagliare la capacità de' più meschini fra gli uomini: che anzi v'hanno ignobili animaluzzi, autori d’opere tali, che tu, per quanto studiassi, non giungeresti mai ad imitare. Or va e gloriati dell'ingegno. Che se mi parli del leggere, vorrei sapere a che t’abbia giovato; perchè del molto che hai letto, quanto v’ha che ti sia rimasto scolpito nell’animo, che v'abbia messo radice, e germogliato a suo tempo? Ponti una mano al petto, e vedrai che l’imparato sinora, ove si paragoni al molto che ignori, sta in quella proporzione che l’oceano ad un rivoletto, cui seccherà l’ardore del sole. E poi a che frutta la molta scienza? poco vi rileva conoscere il giro del cielo e della terra, l'ampiezza del mare, il moto degli astri, la virtù delle erbe e delle pietre, e i segreti della natura, quando restiate ignoti a voi stessi; nè vi gioverà l’aver appreso dai libri il retto e difficil sentiero della virtù, se il vizio vi trascini pei distorti suoi calli, e gli esempi degli uomini illustri non vi conducano ad operare secondo ragione. Vana è altresì la eloquenza, se, come confessi tu stesso, sovente ti venne meno al maggior uopo. Nè vale che gli auditori applaudiscano a ciò che l'intimo sentimento ti dice non buono: perchè, quantunque si deggia far