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Un istante appresso Filippo Capone viene a gittare sulla banca della presidenza una palla di cannone calda ancora; e dietro a lui il capitano Barone con una commissione di guardie nazionali, che domanda istruzioni sul modo da condursi, e promette difendere l’assemblea fino alla morte. A quella trista trilogia l’aspetto della Camera cangia come per incanto. Non più tumulto, non più grida, non più disordine; la soluzione che aveva messi i deputati in convulsione era trovata, l’incognita che li aveva spinti al deliramento era manifesta. Alla commissione delle guardie nazionali il presidente di età, Cagnazzi, rispose: l’assemblea esser sicura del loro patriottismo e valore: per tutta sua difesa rivestirsi della propria dignità: raccomandare di distornare la guerra civile, non potendo, non volendo autorizzarla, o renderla per quanto potevasi meno atroce, se di stornarla fosse impossibile ormai. Al capitano La Cecilia s’impose tenersi nel locale della rappresentanza con un manipolo di uomini, pronti agli ordini del presidente. Ed al capitano della gendarmeria Pignataro, che veniva del pari con i suoi a costituirsi difensore dei deputati, si resero grazie, e per fargli piacere, si accettò l’offerta, dichiarando quell’atto riabilitare un corpo, cui molte tristizie si erano addebitate. Ed è mestieri confessare, che se i rappresentanti non furono vittime delle atrocità concepite nella corte, sì per parte dei soldati come per parte della plebe eccitata da preti e da frati, debbesi all’attitudine risoluta spiegata dalla gendarmeria di volerli ad ogni costo salvare. — Verso le dieci del mattino, il colonnello di uno dei reggimenti svizzeri, a cavallo, la spada nel fodero, accompagnato da soli otto o dieci uomini, si presenta alla barricata