Pagina:Petruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu/124

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uomo alla morte, e immediatamente eseguivasi. Il generale della guardia nazionale, Gabriele Pepe, svillaneggiato, percosso, era tratto nella piazza della Carità, e forse l’avrebbero fucilato se non veniva in soccorso un ufficiale che lo strappò dalle mani de’ manigoldi. Altri furono finiti così; altri trovarono la morte precipitando nei pozzi, o cadendo dai tetti mentre cercavano salvarsi. Ma i baccanali più inverecondi rappresentavansi dinanzi alla Reggia. Ferdinando Borbone e la sua eccelsa consorte, venuti giù nella via, passarono la notte fra plebe e soldati, fumando e berlingando con loro al lume delle barricate che bruciavano. Stringevano a tutti la mano, profondevano nastri, croci, presenti. La superba figlia dell’arciduca Carlo, non sapeva inventare più sorrisi e lusinghevoli parole. Avversa a qualunque libertà, tanto ella aveva intronato l’orecchio al marito dell’eterno ritornello, lei avere sposato un re assoluto, non il fantoccio senza logica e senza significazione di un principe costituzionale, voler dividersi da lui, tornar subito in patria: l’aveva tanto ripetuto che infine vedevasi soddisfatta. Maria Antonietta di Francia, aveva agito sotto il dominio dei medesimi principii: ma come finì? e come finì quella Maria Carolina, regina di Napoli anch’essa? La storia è dunque muta per voi? e voi non imparerete mai nulla e nulla oblierete? Proseguite: l’avvenire che tutto giustifica e tutto legittima non è lontano.

Quella gioia plebea dei reali era però contaminata dal pensiero della propria situazione. Essi avevano dovuto scendere alla prostituzione della dignità regia per conservare ancora qualche giorno agonizzante. Dovevano trascinare un avvenire macchiato, scaduto, lor-