Pagina:Petruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu/16

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quei tre brani. L’opera loro si riconosce ancora; ma per quelle tracce informi e deboli quali potevano lasciarne conquistatori, che ci giungevano guidati dal prestigio del clima e dell’avidità, ci restavano estranei come padroni, e ne partivano scacciati da forza maggiore, sazi di sangue, carichi di oro. Il loro passaggio si riconosce ancora nelle sommità sociali, cui nell’attraversare lambivano e contaminavano; e se in qualche luogo attinsero persino la media borghesia, in niuno penetrarono mai sino al popolo. L’indigenato è restato salvo da ogni contatto: il popolo, sostrato eterno ed inalterabile, sorgente di vita, di nazionalità, di libertà, il popolo è rimasto popolo ed italiano sotto il cielo italiano.

2. Sul vertice dei monti, nel seno dei villaggi, nei focolari più poveri e più obliati della plebe si vive oggi una vita di anacronismo. Essa vi custodisce con religione costumi, affetti e pensieri di secoli oramai dimenticati, e che atterrirebbero questa superfetazione divorante che chiamasi governo, se si degnasse interrogarli e studiarli. Quivi non si trova l’uomo della età moderna, che, come dice Michelet, è parte della società; quivi è l’uomo dell’età antica, l’uomo intero. La sedicente civiltà dell’età monarchica della storia è passata al di sopra di queste teste. Al cuore è restata straniera, l’intelligenza non l’ha compresa. Quivi si agita quello istinto immortale di libertà e di progresso che spinge le generazioni: quivi palpita quella forza occulta che gli storici hanno chiamata provvidenza o fatalità, e che non è invero se non la memoria mezzo ottenebrata di uno stato anteriore, la tradizione di un passato grande e libero, che lentamente, ma con travaglio incessante, rimuove ed impelle lo spirito italiano e della intera democra-