Pagina:Petruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu/168

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goziava la pace, ed ambo apertamente li favorivano. Avevano avuto armi a dovizia, munizioni di ogni maniera, soldati stranieri che accorrevano da per tutto alla crociata della libertà, generali francesi, italiani, polacchi, di cuore e di mente sperimentati: avevan danari a sufficienza ed un popolo energico e deciso a sottrarsi agli artigli dei Borboni; infine avevano avuto il tempo per apparecchiarsi ad una guerra senza misericordia e senza transazione. Tra soldati di linea e guardia mobile i giornali siculi parlarono di centomila e più combattenti! Le città e le strade erano state minate. Le donne delle più distinte famiglie avevano con entusiasmo cooperato agli apparecchi dell’ambulanza, ed erano concorse perfino a dividere col popolo i lavori delle fortificazioni di Palermo e di Catania. Lo spirito avventuroso ed intrepido dei cittadini era provato per una rivoluzione compiuta con tanta perseveranza e con tanto coraggio. I napolitani quindi se non avevano potuto impedire la spedizione, anzi erano stati forzati a pagarla con la sopra imposta, ordinata dal ministero Troya per la guerra di Lombardia, e con un debito di dodici milioni di ducati; i napolitani speravano che gli assassini del 15 maggio sarebbero andati colà a toccare la mercede delle opere loro. Speravano che i siciliani li avrebbero vendicati, e che, attenuate le schiere del re, avrebbero insieme potuto acclamare la vittoria su i rottami del trono di Carlo III. E non lo speravano solo, ma quasi ne gongolavano per sicurezza. Qual colpo di fulmine non fu dunque quando il telegrafo del general Filangieri annunziò, con un laconismo spaventevole: Messina è a noi! Il messo non mentiva. Il generale aveva per modo con-