Pagina:Petruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu/172

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veder chiaro in un fatto, di cui abbiamo relazioni o troppo confuse o troppo passionate. Aver fatti tanti preparativi per cedere a Palermo, quasi senza colpo ferire! aver menata tanta baldanza per piegare il collo a discrezione del re! aver domandata l’indipendenza, averne ottenuta la ricognizione da una grande nazione, aversi dato un altro principe, aver rifiutato una conciliazione dura, trista, è vero, ma garantita dalla Francia e dall’Inghilterra; aver con tanto rumore assordata l’Europa dell’ingiustizia sofferta e della vendetta che apprestavasi a domandarne; per poi morire come un modesto villano, il quale non ha di che pagare la carità sacerdotale, estinguersi come la lucerna del povero per mancanza di alimento! Siciliani, noi crediamo per pruova alla vostra virtù; noi siamo convinti che sarete un eterno cilizio accollato ai fianchi della casa dei Borboni, e che non le darete mai nè pace nè tregua; rischiarateci: il vostro onore, l’onore d’Italia lo esige. Venezia e Roma dissero meno e fecero più.

43. Alla novella del prospero esito della spedizione, la gioia della corte toccò la frenesia. La regina, le principesse, i principini, le dame fabbricavano filacce per i feriti; il re tagliava nastri per insignire i vincitori: i preti cantavano Requiem e Te Deum. Nel tempo stesso si lavorava a comprimere sempre più i napolitani, i quali avevano osato abbrunarsi dopo la disfatta di Messina. Il soldato cresceva in baldanza ed imperio sul disarmato cittadino; i preti scomunicavano i liberali: la polizia li seppelliva nelle prigioni. Una nuova leva s’imponeva, e con rigore spietato compivasi. La stampa era proscritta affatto da un ukase che sol esso basterebbe all’infamia del