Pagina:Petruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu/19

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la moglie e la figlia. La città è il prete che gli predica un culto incomprensibile, ed in nome di Dio gli glorifica la schiavitù; è il soldato che gli devasta il campo; in una parola, è il governo che sotto tutte le sue molteplici facce lo incatena e lo tortura. Nella città egli sente l’odio per chi lo perseguita, sente l’invidia delle ricchezze, il bisogno sotto tutte le sue pressioni; là comprende il lusso, là concepisce la voluttà. L’acqua della fontana, qualche pomo di terra bollito quando giunge ad averne, supremo benefizio che ritrae da una terra fecondata dal suo sudore, una crosta di pane nero che è il lusso delle sue vivande ed il medicamento delle sue malattie, due piote ricoperte di erba, il padiglione risplendente del cielo; ecco tutta la parte delle delizie della sua esistenza, che egli ritrova nella campagna. Pure vi si rassegna e la preferisce a quella più dolorosa che la società gli aveva assegnata, la fame, il freddo, il fango della strada e la lordura. La città gli fa male. Egli vi è stimolato dal bisogno di mangiare la carne, che pure non mangia se non una volta o due nell’anno, nelle grandi feste e il dì delle sue nozze. Là sente la voglia di bere il vino, che pure beve tanto raramente; e forse anche di ubbriacarsi e di attaccar brighe. Allora egli agogna un letto soffice e caldo, cui, se per avventura gli è dato premere una volta, abbandona repente come un supplizio, come qualche cosa che lo incatena e quasi gli dà l’incubo e gl’impedisce di dormire. In una parola, nella vita libera del campo egli è povero, infelice anzi, ma si è abituato a trovarsi di faccia a faccia con Dio, con le sue interne ispirazioni. Egli è là con un passato che gli parla nell’anima una voce misteriosa sì, ma po-