Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il Re prega, Milano, Treves, 1874.djvu/227

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A questa strofa, l’entusiasmo degli spettatori fece esplosione. Due o trecento bocche accompagnarono in coro il bizzarro ritornello della scherzosa canzone. La melodia era adorabile: essa zampillava, scintillava, spingeva le gambe alla danza, a bocca al canto. Non si potè più restar quieti. Giammai hustings inglesi ebbero più acclamazioni tumultuose per un candidato favorito, che quel pubblico di teste calde napolitane e di cuori entusiastici non ne prodigò alla canzone di Filippo.

Essa fu proclamata la canzone dell’anno.

Gabriele era scomparso.

Egli aveva visto Concettella staccarsi poco a poco da lui, inclinare verso il suo rivale, infiammarsi, esaltarsi, cader mortalmente bella e sbocciata nelle braccia di colui. Era fuggito.

Il dì seguente, Gabriele assiso a terra, le gambe incrociate, i gomiti sulle ginocchia, il mento fra le mani, stava ascoltando il vecchio che sul Molo declamava l’Ariosto.

Dopo che aveva preso in uggia il mestiere di facchino delle carrozze, Gabriele aveva principiato il commercio delle frutta. Un mercante gli confidava un cesto pieno di fichi, di pesche o di uva, egli percorreva la città, li vendeva al minuto, guadagnava dieci soldi in qualche ora, e passava una parte del giorno alla riva del mare, a vaneggiare a baloccare. La sera andava ad udire la musica sulla Piazza Reale; nel dopopranzo alternava le ore tra il Filosofo e Rinaldo.

Il Filosofo era un vecchio antidiluviano che insegnava la morale. E’ smaltiva le massime e gli