Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il Re prega, Milano, Treves, 1874.djvu/241

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Sotto il dominio di questa idea fissa ed unica, l’universo era scomparso dai suoi occhi: anzi, l’universo si rizzava incontro a lui come un ostacolo cui bisognava rovesciare o spezzare. Egli errò simile ad un forsennato, tutta la sera. L’orologio della chiesa di S. Maria a Costantinopoli suonò le dieci. Quei dieci colpi di orologio gli diedero la vertigine.

E’ saliva allora quel vicolo che dalla porta di Costantinopoli, conduceva alla piazzetta deserta, ove era il collegio di medicina. In un chiassuolo adiacente vi era un orribile affresco che figurava la Passione. Innanzi a quelle tre figure sconcissime del Cristo e delle tre Marie bruciava una lampada che dava più fumo che luce.

Gabriele s’inginocchiò, senza vedere le immagini senza pregare. Era là, ed attendeva un’idea, l’imprevisto, l’incognito! Non un soffio di aria nel cielo del resto, non un’anima per quei dintorni. Dovunque il silenzio, la solitudine e quel chiaroscuro scialbo delle notti italiane che non è nè le tenebre, nè la luce, — il tiepido del chiarore!

Era assorto e non pensava.

Infine, udì uno strepito dietro a lui. Si volse ratto, si levò. Era un prete di provincia che passava e gli gettava un soldo, rimettendo in tasca qualche pezzo di moneta bianca. La vista di quel danaro dette i brividi a Gabriele. Tutti i suoi istinti si risvegliarono, tutti i suoi desideri lo azzeccarono alla gola e lo strangolarono. Un mondo di luce, un mondo di tenebre, passarono in un attimo innanzi agli occhi suoi. E’ corse dietro il prete, si prostrò alle ginocchia di lui e gli disse: