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i busti del re e della regina in gesso; un Cristo in un angolo; un cattivo canapè coperto di tela gialla e qualche sedia.
Una signora entrò. Era vivamente commossa, pallida, tremante.
— Signora! disse Campobasso lasciandola in piedi dinanzi al suo tavolo, voi avete cacciato di casa vostra una giovane serva a cui noi portiamo interesse. Andrete a riprenderla.
— Ma, signor commissario, ella mi rubava.
— Voi non la pagavate abbastanza.
— Ma, signore, ella restava fuori tutto il giorno, Dio sa dove, mi mancava di rispetto, non faceva il suo dovere, mi dava degli ordini....
— E voi, non avete i vostri difetti, voi!
— I miei pensionari se ne lamentavano.
— Ah! Ebbene, essi avevano torto, e voi avete torto. Scegliete. Domani, o la serva rientra in casa vostra, e voi la compenserete di averla licenziata, o darete congedo ai vostri locatari e non affitterete più camere.
— Ma, l’è la mia sola risorsa per vivere, signor commissario.
— È dunque indispensabile che voi viviate? Ho detto. Uscite.
La signora salutò e si ritirò a ritroso.
Gli occhi del commissario si illuminavano.
L’ispettore rientrò. Campobasso fece un segno della testa, e due minuti dopo comparvero due bei giovanotti di una ventina d’anni. Restarono, cappello in mano, nel mezzo della stanza.
— Avvicinatevi, gridò Campobasso, alzandosi.