Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/126

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l’anno. Bruto sottoscrisse ad occhi chiusi a queste condizioni.

Quel giorno stesso, dopo il pranzo, si fece lo sgombero. I mobili e le masserizie di don Noè non formavano il carico di una carretta. Ora, nelle sei stanze del nuovo appartamento del dottor Bruto, quelle mobilie elementari facevano l’effetto di una mosca in una cattedrale.

— Ci vogliono arredi e addobbi, disse Bruto passeggiando nelle stanze. Non posso ricevere i miei clienti, se ne ho, e pregarli di seder su i quadrelli del pavimento.

— Certamente, dissero in coro don Gaudioso e don Gabriele.

— Quanto credete voi che potrebbe costarmi il rimpinzar qui dentro seggioloni, divani, sofà, letti, orologi, armadii....

— Avanti, avanti.... delle statue, dei quadri, delle tappezzerie, degli arazzi, eh? disse don Gabriele.

— Ho un’idea, osservò Bruto. Se ho da arredare queste stanze, voglio arredarle per bene.

— In questo caso, l’eredità di tuo zio ti s’inghiotte d’un boccone, disse don Gaudosio.

— O all’incirca, osservò don Gabriele. La è grave. Ma, poichè egli ha un’idea su questo proposito, bisogna effettuarla nel miglior modo. Non mi piacciono le idee che restano pulcellone. Quando si ha un’idea, bisogna che la prolifichi, fosse pure per produrre dei piccoli mostri....

— Allora, disse Bruto.

— Allora vuoi lasciar fare a me? Conosco tutta Napoli, io. So dove si trovano uomini e cose.