Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/154

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— Sia pure, disse Bruto: ecco il mio consiglio. Se persistete nell’idea di suicidio, continuate a prendere le tisane che vi vengono prescritte, continuate ad indebolirvi, ad avvelenarvi, aggiungete combustibile alla fiamma interna che già v’invade. Se volete vivere, non fate più nulla, nulla alla lettera. L’incendio, che già divampa, si estinguerà forse da sè solo. La natura riprenderà i suoi diritti; la gioventù è benefica nelle sue influenze e l’avvenire dirà la sua ultima parola.

Cecilia si sciolse in lagrime ed esclamò:

— Andate via, andate via! non voglio più veder nessuno.

— Vivete, signorina, disse Bruto commosso. Basta il male che ci viene da Dio; non aggiungiamone colle nostre mani.

Ed uscì. Il vecchio domestico del conte, che lo aspettava nell’anticamera, lo pregò di passare dal padrone, che desiderava di parlargli.

Bruto entrò nello studio.

— Ebbene! chiese il conte poco ansioso della sorte di sua figlia, ma squadrando da capo a piedi il giovine dottore.

— Signor conte, rispose Bruto, sedendo sopra un divano, come vuole che io le parli?

— Come?

— Sì; mi è indispensabile il saperlo.

— In italiano, per bacco, rispose don Ruitz, a meno che non preferiate il tedesco.

— No, no, amo meglio l’italiano, che è più preciso. Ella desidera, dunque, di conoscere la malattia di sua figlia?