Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/173

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— Non mi pare necessario, osservò Bruto.

— Lo voglio, rispose il conte. Ve ne prego, dottore.

— Lo desidero anch’io, mormorò Cecilia sotto lo sguardo di suo padre.

— Questa sera la febbre avrà ceduto, disse Bruto, il medico della signorina provvederà domani.

— Il medico della signorina siete voi, signore. Ne ho abbastanza di quegli asini, che la uccidevano. Non voglio che il mondo dica che io sono stato loro complice. Le circostanze della malattia sono tali che giustificherebbero forse l’accusa. Dovete comprendermi tutti e due.

— Ve ne prego, dottore, disse Cecilia come se avesse una scossa elettrica dalle parole di suo padre. Vi chieggo scusa. La febbre è una mezza pazzia.

Bruto salutò e parti.

Ritornò alla sera.

Il conte l’accompagnò, assistette alla visita e constatò che sua figlia andava un po’ meglio. Il dottore partito, fece segno a Lisa di uscire, e restò solo colla ragazza.

Questo signor Ruitz era un uomo fatto di diversi pezzi, un carattere diviso a compartimenti. Custode di canarini a corte; barone nelle anticamere della regina, in mezzo al servidorame; conte in città; artista nel suo appartamento, stava sempre palafreniere dinanzi a sua figlia. Lo si vedeva umile al castello, freddamente creanzato nelle relazioni di società, amabile nel suo studio; ma sua figlia era sicura di trovarlo sempre faceto o brutale.