Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/175

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sarebbe risaltato dai guanciali se i suoi occhi, dove restava ancora un un po’ di ondeggiamento, dopo la tempesta della febbre, non ne avessero accusata la presenza.

Essa spiava tutti i movimenti di suo padre, aspettando l’esplosione finale.

— Sarebbe forse vile o atroce, pensava, o semplicemente motteggiatore e saltimbanco? Che cosa escirà da quel fango che ribolle là entro? un pulcinella o un briccone?

Non tardò molto a saperlo.

— Così, dunque, signorina, esclamò Ruitz alla fine, fermandosi dinanzi alla lampada, ti sei lasciata accalappiare, eh? Credevi, dunque, che a quel giuoco non ci fosse che a guadagnare un marchese autentico per marito, o al più, al più di quelle farfalle che si chiamano baci? Sciocca. Io so tutto!

Cecilia non rispose e chiuse gli occhi. Suo padre le faceva orrore.

— Se tu fossi una vera contessa, o semplicemente una rivendugliola di fagioli cotti e di nocciole arrostite al forno, non sarebbe nulla. Si può compromettere benissimo una posizione decisa. Ma compromettere una posizione equivoca, intaccare una riputazione incerta, aggiungere un fallo ad una cosa oscura, mettere la vergogna sull’infamia! ah! ciò è cosa stupida. Cosa diverrai oggi con questa macchia sulla tua bellezza?

— Vi ringrazio di velare il vostro pensiero, padre mio. Non si deve mai aver troppo ragione, disse Cecilia con voce tronca.

Soffocava.