Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/210

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giorno e della notte. La mia perdita era divenuta per la povera donna una idea fissa, quasi un sentimento del suo dover di madre, la risposta che doveva dare alla Provvidenza ed alla società, un atto di giustizia, una religione di famiglia, un’abnegazione e, sopratutto, il segreto pel pane quotidiano. Le sue sventure l’avevano inspirata e non le avevano nulla insegnato.

— Le sventure hanno sempre questo risultato, osservò don Gabriele. Ma, infine, come codesta catastrofe fu consumata?

— Nella maniera la più semplice e forse la più comune. Era la sera della seconda rappresentazione del Violinista di Cremona. Mia madre era felice. “Faremo una piccola festa fra noi due, mi disse rientrando. Ho comperato delle sfogliatelle e una bottiglia di malaga. Che baldoria, piccina!„ Trovai, infatti, tutto ciò preparato su una tavola quando tornammo a casa. Mia madre accese due candele. Mangiammo. Prestai poca attenzione a ciò che faceva mia madre sempre in piedi ed affaccendata. Bevvi due piccoli bicchieri di quel vino dolce, ma di un singolare sapore. Poi, siccome le emozioni mi avevano stancata e mi pesavano più sul cervello che sul cuore, andai a coricarmi, dopo aver chiusa io stessa la porta della nostra camera. Dormii di un sonno pesante, doloroso, agitato, pieno di incubi e di orribili sogni. Mi svegliai tardi il mattino. Aprendo gli occhi, vidi mia madre che preparava tre tazze di caffè al latte. Volgendomi dall’altra parte.... gettai un grido e svenni.