Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/25

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— Non ridete, signor sergente, perchè vi ho già tagliato in due siti.

— Un medico? Al postutto un medico l’è il soldato in metafisica.

— Che cosa ne dite, dunque, signor Sacco-e-Fuoco? Quella bestiolina è un prodigio!

Probo majorem, nego minorem, distinguo, avrebbe risposto il mio gesuita. Va più adagio, imbecille! non sono mica già io una groppa di un cavallo, ove tu applichi un vescicante.

— Dite, signor sergente, se mi parlaste nella lingua dei cristiani battezzati sarebbe meglio. Non ho nessuna confidenza nei vostri gesuiti. Parlano calmucco.

— Diceva, dunque, che approvo il mestiere; probo majorem. Ma nego.... Mille satanassi! va leggiero e bada all’orecchio. Ho finito di far la guerra colle sciabole e mi batto contro i rasoi! Lascierò crescere la barba, alla fine!

— Non ci mancherebbe che questa! Per farvi mettere in prigione come carbonaro.

— Dico, dunque, che mi sembra che tuo figlio abbia la stoffa che occorre per farne un buon medico, o almeno, distinguo. Se non si tratta che di fabbricare un chirurgo di reggimento, o un medico d’ospitale, l’andrà ancora benone, nel nostro felicissimo regno di Napoli. Al reggimento, come all’ospitale, si fa spreco della vita dell’uomo, come tu, briccone, fai spreco della mia pelle. Ma un medico, genericamente parlando, no. Dove hai mai trovato che tuo figlio abbia le qualità necessarie?

— Ah! ecco qui, signor sergente. Prima di