Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/259

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Il colonnello lasciò fare senza profferire un lamento.

Arrivati al corpo di guardia, lo gettarono in un buco orribilmente fetido e formicolante d’insetti, ove non poteva tenersi nè in piedi, nè coricato. Se il colonnello avesse conosciuto il confessore del re, o se avesse potuto mandare una bella donna dal ministro di polizia, se avesse potuto disporre di una borsa ben gaudiosa (che è sempre più efficace delle indulgenze plenarie), il suo atto d’accusa si sarebbe trasformato in un panegirico. Ma non avendo nulla di tutto ciò, restò alla segreta con quel manicherino che non era per fermo di tela d’Olanda.

Per esser giusti, diremo che il commissario di polizia del quartiere, Silvestri, era un uomo eccellente. Non aveva che due minimi difetti: era collerico e credeva che chiunque avesse bazzicato la Francia, da presso o da lontano, fosse carbonaro ed ateo. Ora un ladro, un assassino, un usuraio, un denunziatore potevano lusingarsi di trovare indulgenza presso questo paterno commissario; ma uno studente che avesse trasandata la messa, una donna leggera provocatrice al peccato mortale, un uomo in collera che avesse bestemmiato, si fosse pur santo Cesare, tutti questi non avevano nulla da sperare.

A queste disposizioni benevole del commissario s’aggiunse l’insinuazione dell’ispettore, il quale, trovando insufficiente la mancia di Tartaruga, dipinse il colonnello come uomo che non temeva nè la Corte della terra, nè quella