Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/267

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cava in ultima istanza e definitivamente quando il 1815 arrivò, Napoleone cadde, Murat fu fucilato, Ferdinando di Borbone ritornò di Sicilia ed il processo stava per essere deciso. Si consigliò al conte d’Altamura di prender per avvocato don Terenzio Siniscalchi, ben visto alla corte in quell’epoca e perciò temuto dalla ruota dei giudici.

Il conte d’Altamura, avvegnacchè lo sprezzasse, impegnò l’avvocato, il quale in realtà aveva più ingegno che fortuna e più scienza legale che moralità. Il giuoco era pericoloso. Andare a scegliere, — lui murattista, — un avvocato del partito borbonico per un processo, di cui si faceva una specie di diciarazione di principii ed un affare di partito! Avvenne ciò che il conte d’Altamura avrebbe dovuto prevedere. Il marchese d’Atella comperò l’avvocato. La Partanna, seconda moglie del re, ordinò a don Terenzio di condursi bene. Il principe ereditario disse una parola al ministro della giustizia, il quale ne disse un’altra al presidente della Corte. Il giorno dei dibattimenti giunse. Don Terenzio, prima di recarsi al tribunale, assicurò il conte che il processo era guadagnato, e gli ripetè tutte le ragioni legali che gl’inspiravano tale fiducia. L’ora di arringare suonò.

La sala era zeppa; l’aspettativa indicibile; la curiosità eccitata al più alto punto. Don Terenzio principiò la sua difesa.... Ohi sventura! l’ansietà gli cagiona come un’apoplessia d’idee. S’imbroglia, balbetta. Una specie d’angina lo soffoca. Uno spossamento cerebrale annienta