Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/292

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tuperata di aver per damo un ladro. Essa mi parlò con tali parole di sprezzo che gli era impossibile oramai d’ingannarsi sui suoi sentimenti e sulle sue intenzioni. Le ricordai la sua storia, la sua condotta; la minacciai. Ella stette cheta, ma non parve nè convinta, nè spaventata. Il suo angelo guardiano raddoppiò di vigilanza.

— Convenite, signor conte, disse l’ex-cameriere diplomatico, che mancaste di previdenza e d’energia in questa circostanza.

— Ne convengo, rispose il conte. Ma ella aveva mai sempre un possente impero sui miei sensi, e non sapevo risolvermi a sbarazzarmene. Avendo ricondotta la tranquillità in casa, intavolai le conferenze per la società. Una sera mi recai dal presidente della giunta, un generale, e gli chiesi se potessi confidare un secreto al suo cuore e fargli una proposizione, la quale, accettata o respinta, doveva restar sepolta nel suo petto. Me lo permise. Gli spiegai lo scopo della mia visita e finii con offrirgli un’arra di dodicimila ducati, se voleva negligere i doveri del suo uffizio.

“Rifiutò.

“Raddoppiai la somma. Il generale rifiutò ancora. Insistetti. Mi confessò allora, scusando il suo rifiuto, che gli era impossibile di accettare pel momento perchè il re aveva personalmente ricevuto delle informazioni sulla nostra associazione ed avea ingiunto al ministro di polizia, sotto la sua responsabilità, di colpirla a morte.

— Bisognava comprare il re, perbacco, gridò l’ex-cocchiere di Corte.