Pagina:Petruccelli Della Gattina - Il sorbetto della regina, Milano, Treves, 1890.djvu/61

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— Un tocchetto... di quale gusto lo preferite voi, don Bruto?

— Di tutti i gusti.

— Che orgia! Hai inteso? Al gusto del rhum, dell’anisetto, del curacao, del rosolio... insomma a quanto hai di meglio.

— Un tocco a tutti i sensi pel signore, gridò il cameriere.

— No: solamente all’anisetto.

— Un tocco all’anisetto, gridò di nuovo il giovine.

E un minuto dopo li serviva, molto soddisfatto del suo spirito; perchè vi sono nel dialetto napoletano dei qui pro quo ingegnosi tra il tocco, che significa apoplessia, il tocchetto, bicchierino, ed il senso che vuol dire gusto; qui pro quo intraducibili in buon italiano.

Bruto non aveva domandato che un grano di caffè con l’anisetto. Per prodigalità, fu servito nell’istesso tempo di una mezza dozzina di mosche. Partito il garzone, don Gabriele accese un sigaro e ne offerse uno a Bruto.

— Grazie, disse questi. Raccontatemi ciò che avete scoperto.

— Poco. Ma siamo sulla traccia... forse....

— Se siamo sulla traccia, sfido il diavolo d’impedirci di andare avanti.

— Hum! fece don Gabriele; quando Fuina si ferma, sfido il diavolo, io, ed il padre del diavolo ad andar più avanti.

— Prima di tutto, codesto Fuina, caro don Gabriele, chi è?

— Sta tranquillo, ragazzo, sta tranquillo; non è nè il presidente del consiglio, nè un santo del paradiso... oh! no.