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egli esitando. Io mi accostai allo stipetto, toccai le lettere che componevano il nome, ed una tavoletta rientrò, lasciando in vista un tiratoio. Il duca conservava quivi i suoi crachats, i suoi gioielli, i suoi danari, delle cedole di Banca. Un sacchetto in velluto violetto attirò i miei sguardi. Lo presi. Egli me lo strappò di mano, dicendo: — Sono quivi delle carte di mia madre. E lo rigettò nello stipetto, cui chiuse affatto. Ora, quelle carte di sua madre non sarebbero desse quelle piuttosto di cui egli ora traffica?
— Gli è evidente.
— Ma il mobile, oltre la toppa a segreto, à una chiave che lo chiude di fuori. Io non ò quella chiave, cui il duca porta sempre nelle sue tasche.
Adriano riflette qualche poco, poi disse:
— Vitaliana, io veggo in tutto codesto un viluppo di fatti, di circostanze, di voglie, di non so che, insomma, cui non afferro bene. Egli è impossibile di pigliare una risoluzione istantanea. Bisogna considerare le cose ponderatamente. Il duca è infame e capace di tutto. Ma gli altri non valgono guari meglio. Vi è forse qui dei gonzi e dei gabbatori. I colpevoli sono forse delle vittime. Calma, dunque. Lascia che io mi trovi in mezzo a questo garbuglio di dubbi. Lasciami scandagliare questo abisso, ove non vedo chiaro, per il momento, che una sola naufraga: voi, duchessa; te, Vitaliana.
Adriano provò di pigliar la mano di sua cugina. Ella la ritirò vivamente e si alzò.
— Allora — diss’ella — che pensate voi? Che occorre fare?
— Lasciatemi riflettere, questa notte...
Le labbra di Vitaliana si crisparono. Adriano, che se ne avvide, non distinse se fosse un sorriso o uno spasimo.
La notte!
Che di cose la notte non doveva dessa rammentare a questa donna, sia ch’ella fosse amorosa o gelosa, sia che l’avesse semplicemente osservato la bellezza di Morella e la sua intimità con suo cugino!!
Questi riprese:
— Mi permettete voi, madama, di presentarmi in casa vostra, domani?