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146 capitolo terzo.

suono sul tavolo, spinse con la sinistra i calzoni da banda e con la destra menò il pugno, mentre i suoi vicini gli gridavano “Ocio! Ocio!„ e un cestellino di porcellana dorata, spinto da una bomboniera, spinta da un album, spinto dalle brache del Municipio, capitombolava nell’abisso. “Oh Dio, la mamma!’ pensò Matìo nel cuore mentre la bocca diceva: “gnente, gnente, gnente!„ E si precipitò col desolato Quaiotto, con i colleghi più agili, a raccogliere gli sparsi cocci dorati. Quattro schiene tumultuavano sotto il tavolo: quella del buon Matìo che ripeteva “gnente, gnente, gnente„ quella di Quaiotto che gemeva “per carità, per carità, per carità!„ e altre due schiene ricche di buone speranze nella risurrezione artificiale del cestellino. Gli undici personaggi seduti, intenti, con le mani sulle ginocchia, alle quattro schiene e ai cocci brillanti, dirigevano il lavoro. — Quaiotto, a dritta! — Dòtor, a sinistra! — Più in qua! — Più in là! — L’uomo acido, dato di gomito all’uomo amaro e poi a un altro vicino, mostrava loro con un sorriso giallo la testa e il seno della donnetta di porcellana che uscivano dalla tasca posteriore sinistra dell’abito di Matìo. Inutilmente il donnone ricomparso sulla soglia con una lettera in mano chiamò tre volte, guardando stupefatta quella baraonda: “Siòr paron! Siòr paron! Siòr paron!„