Pagina:Pirandello - Il fu Mattia Pascal, Milano (1919).djvu/215

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Benchè io vivessi modestissimamente, s’era fitto in capo che fossi molto ricco. E ora, per deviare il mio pensiero da Adriana, forse vagheggiava l’idea di farmi innamorare di quella nipote del marchese Giglio d’Auletta, e me la descriveva come una fanciulla saggia e fiera, piena d’ingegno e di volontà, recisa nei modi, franca e vivace; bella, poi: uh, tanto bella! bruna, esile e formosa a un tempo; tutta fuoco, con un pajo d’occhi fulminanti e una bocca che strappava i baci. Non diceva nulla della dote: — Vistosissima! — tutta la sostanza del marchese d’Auletta, nientemeno. Il quale, senza dubbio, sarebbe stato felicissimo di darle presto marito, non solo per liberarsi del Pantogada che lo vessava, ma anche perchè non andavano tanto d’accordo nonno e nipote: il marchese era debole di carattere, tutto chiuso in quel suo mondo morto; Pepita invece, forte, vibrante di vita.

Non comprendeva che più egli elogiava questa Pepita, più cresceva in me l’antipatia per lei, prima ancora di conoscerla? La avrei conosciuta — diceva — fra qualche sera, perchè egli la avrebbe indotta a intervenire alle prossime sedute spiritiche. Anche il marchese Giglio d’Auletta avrei conosciuto, che lo desiderava tanto per tutto ciò che egli, Papiano, gli aveva detto di me. Ma il marchese non usciva più di casa, e poi non avrebbe mai preso parte a una seduta spiritica, per le sue idee religiose.

— E come? — domandai. — Lui, no; e intanto permette che vi prenda parte la nipote?

— Ma perchè sa in quali mani l’affida! — esclamò alteramente Papiano.

Non volli saper altro. Perchè Adriana si ri-