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— (Bravo, sì! Che fitta di scapaccioni ti darei!)

— Ora, se non ti dispiace, — riprese il padron di casa, — vorresti darci un segno del tuo buon animo verso di noi?

Cinque colpi sul tavolino intimarono: — Parlate!

— Che significa? — domandò la signora Candida, impaurita.

— Che bisogna parlare, — spiegò Papiano, tranquillamente.

E Pepita:

— A chi?

— Ma a chi vuol lei, signorina! Parli col suo vicino, per esempio.

— Forte?

— Sì, — disse il signor Anselmo. — Questo vuol dire, signor Meis, che Max ci prepara intanto qualche bella manifestazione. Forse una luce... chi sa! Parliamo, parliamo...

E che dire? Io già parlavo da un pezzo con la mano d’Adriana, e non pensavo, ahimè, non pensavo più a nulla! Tenevo a quella manina un lungo discorso intenso, stringente, e pur carezzevole, che essa ascoltava tremante e abbandonata; già l’avevo costretta a cedermi le dita, a intrecciarle con le mie. Un’ardente ebbrezza mi aveva preso, che godeva dello spasimo che le costava lo sforzo di reprimer la sua foga smaniosa per esprimersi invece con le maniere d’una dolce tenerezza, come voleva il candore di quella timida anima soave.

Ora, in tempo che le nostre mani facevano questo discorso fitto fitto, io cominciai ad avvertire come uno strofinìo alla traversa, tra le due gambe posteriori della seggiola; e mi tur-