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che sarebbe ritornato presto da Napoli, appena chiuso il fratello nella casa di salute, liquidate le sue competenze in un certo negozio che ultimamente aveva avviato colà in società con un suo amico, e fatte le ricerche dei documenti che bisognavano al marchese.

— Anzi, a proposito, — conchiuse, rivolgendosi a me. — Chi ci pensava più? Il signor marchese mi aveva detto che, se non le dispiace, oggi.... insieme con mio suocero e con Adriana....

— Ah, bravo, sì! — esclamò il signor Anselmo, senza lasciarlo finire. — Andremo tutti.... benissimo! Mi pare che ci sia ragione di stare allegri, ora, perbacco! Che ne dice, signor Adriano?

— Per me.... — feci io, aprendo le braccia.

— E allora, verso le quattro.... Va bene? — propose Papiano, asciugandosi definitivamente gli occhi.

Mi ritirai in camera. Il mio pensiero corse subito ad Adriana, che se n’era scappata singhiozzando, dopo quella mia smentita. E se ora fosse venuta a domandarmi una spiegazione? Certo non poteva credere neanche lei, ch’io avessi davvero ritrovato il denaro. Che doveva ella dunque supporre? Ch’io, negando a quel modo il furto, avevo voluto punirla del mancato giuramento. Ma perchè? Evidentemente perchè dall’avvocato, a cui le avevo detto di voler ricorrere per consiglio prima di denunziare il furto, avevo saputo che anche lei e tutti di casa sarebbero stati chiamati responsabili di esso. Ebbene, e non mi aveva ella detto che volentieri avrebbe affrontato lo scandalo? Sì: ma io — era chiaro — io non avevo voluto: