Pagina:Pirandello - L'Umorismo, 1908.djvu/165

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caratteri e materia dell’umorismo 161

sì in un no, che viene in fine ad assumere lo stesso valore del sì. Magari può fingere talvolta l’umorista di tenere soltanto da una parte: dentro intanto gli parla l’altro sentimento che pare non abbia il coraggio di rivelarsi in prima; gli parla e comincia a muovere ora una timida scusa, ora un’attenuante, che smorzano il calore del primo sentimento, ora un’arguta riflessione che ne smonta la serietà e induce a ridere.

Così avviene che noi dovremmo tutti provar disprezzo e indignazione per don Abbondio, per esempio, e stimar ridicolissimo e spesso un matto da legare Don Quijote; eppure siamo indotti al compatimento, finanche alla simpatia per quello, e ad ammirare con infinita tenerezza le ridicolaggini di questo, nobilitate da un ideale così alto e puro.

Dove sta il sentimento del poeta? Nel disprezzo o nel compatimento per don Abbondio? Il Manzoni ha un ideale astratto, nobilissimo della missione del sacerdote su la terra, e incarna questo ideale in Federigo Borromeo. Ma ecco la riflessione, frutto della disposizione umoristica, suggerire al poeta che questo ideale astratto soltanto per una rarissima eccezione può incarnarsi, e che le debolezze umane sono pur tante. Se il Manzoni avesse ascoltato solamente la voce di quell’ideale astratto, avrebbe rappresentato don Abbondio in modo che tutti avrebbero dovuto provar per lui odio e disprezzo, ma egli ascolta entro di sè anche la voce delle debolezze umane. Per la naturale disposizione dello spirito, per l’esperienza della vita, che gliel’ha determinata, il Manzoni non può non sdoppiare in germe la concezione di quell’idealità religiosa, sacerdotale: e tra le due fiamme accese di Fra Cristoforo e del Cardinal Federigo vede, terra terra, guardinga e mogia, allungarsi l’ombra di don Abbondio. E si compiace a un certo punto di porre a fronte, in

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