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questioni preliminari 29

dell’umorismo, o meglio, di un certo umorismo; ma è assolutamente arbitrario il negare che tali disposizioni non esistessero o non potessero esistere in antico.

A buon conto, Diogene, con la sua botte e la sua lanterna, non è di jeri; e nulla di più serio nel ridicolo e di più ridicolo nel serio. Eccezioni, come dice il Nencioni e ripete l’Arcoleo, Aristofane e Luciano? Ma eccezioni, allora, anche Swift e Sterne. Tutta l’arte umoristica, ripetiamo, è stata sempre ed è tuttavia arte d’eccezione.

Diverso il pianto, secondo questa critica, e diverso naturalmente anche il riso degli antichi.

Notissima, la distinzione di Gian Paolo Richter tra comico classico e comico romantico: facezia grossolana, satira volgare, derisione de’ vizii e dei difetti, senza alcuna commiserazione o pietà, quello; umore, questo, cioè riso filosofico, misto di dolore, perchè nato dalla comparazione del piccolo mondo finito con la idea infinita, riso pieno di tolleranza e di simpatia.

Da noi il Leopardi, che ebbe sempre la nostalgia del passato e che nei Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura volle far notare che egli sentiva il dolore non a modo dei romantici, ma a modo degli antichi, cioè il dolore disperato, difese pure il comico antico contro il moderno, il comico antico che «era veramente sostanzioso, esprimeva sempre e metteva sotto gli occhi, per dir così, un corpo di ridicolo», mentre il moderno «un’ombra, uno spirito, un vento, un soffio, un fumo. Quello empieva di riso, questo appena lo fa gustare; quello era solido, questo fugace; quello consisteva in immagini, similitudini, paragoni, racconti, insomma cose ridicole; questo in parole, generalmente e sommariamente parlando, e nasce da quella tal composizione di voci, da quello equivoco, da quella tale allusione di parole, da quel giocolino di parole, da quella tal parola appunto — di maniera che,