Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/233

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Prima d’andare, guardai un’ultima volta la villetta. Non era più niente; d’un tratto più niente; come se la vista mi si fosse all’improvviso snebbiata. Eccola là: meschina meschina, vecchia, vuota... più niente! E allora, forse... nonna Rosa, Duccella... Niente più, neppur esse? ombre di sogno, ombre mie dolci, ombre mie care, e niente altro?

Sentii freddo. Una durezza nuda, sorda, gelida. Le parole di quella contadina grassa: — Buona gente! Tutta di Dio... Non ha voluto mondo... -. Ci sentii la chiesa: dura nuda gelida. Tra quel verde che non rideva più... Ma dunque?

Mi lasciai guidare. Non so che discorso lungo su quel don Filippo, a cui stava bene sùrice, perchè... — un perchè che non finiva mai... il governo passato... lui no, suo padre... uomo di Dio anche lui, ma... il suo, almeno per quello che si diceva... — E con la stanchezza, nella stanchezza, andando, tante impressioni di realtà sgradevole, dura, nuda, gelida..., un asino pieno di mosche che non voleva andare, la strada sudicia, un muro screpolato, il sudor fetido di quella donna grassa... Ah, che tentazione di svoltare per la stazione e riprendere il treno! Due, tre volte fui lì lì; mi trattenni; dissi: — Vediamo! —

Una scaletta angusta, lercia, umida, quasi buja; e la vecchia che mi gridava da sotto:

— Diritto, andate diritto... Sù, al secondo piano... Il campanello è rotto, signò... Picchiate forte; è sorda; picchiate forte. —

Come se fossi sordo io... — Qua? — dicevo tra me, salendo. — Come si sono ridotte qua? Cadute in miseria? Forse, due donne sole... Quel don Filippo...