Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/79

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e compensano puntualmente e lautamente ogni lavoro; quello scorrer facile dell’opera nella sicurezza che non ci saranno intoppi e che ogni difficoltà, per la gran copia dei mezzi, sarà agevolmente superata; una febbre anzi di porsi, quasi per sfida, le difficoltà più strane e insolite, senza badare a spese, con la certezza che il danaro, speso adesso senza contarlo, ritornerà tra poco centuplicato.

Scenografi, macchinisti, apparatori, falegnami, muratori e stuccatori, elettricisti, sarti e sarte, modiste, fiorai, tant’altri operai addetti alla calzoleria, alla cappelleria, all’armeria, ai magazzini della mobilia antica e moderna, al guardaroba, son tutti affaccendati, ma non sul serio e neppure per giuoco.

Solo i fanciulli han la divina fortuna di prendere sul serio i loro giuochi. La meraviglia è in loro; la rovesciano su le cose con cui giuocano, e se ne lasciano ingannare. Non è più un giuoco; è una realtà meravigliosa.

Qui è tutto il contrario.

Non si lavora per giuoco, perchè nessuno ha voglia di giocare. Ma come prendere sul serio un lavoro, che altro scopo non ha, se non d’ingannare — non se stessi — ma gli altri? E ingannare, mettendo sù le più stupide finzioni, a cui la macchina è incaricata di dare la realtà meravigliosa?

Ne vien fuori, per forza e senza possibilità d’inganno, un ibrido giuoco. Ibrido, perchè in esso la stupidità della finzione tanto più si scopre e avventa, in quanto si vede attuata appunto col mezzo che meno si presta all’inganno: la riproduzione fotografica. Si dovrebbe capire, che il fantastico non può acquistare realtà, se non per mezzo del-