Pagina:Pirandello - Uno nessuno e centomila, Milano, Mondadori, 1936.djvu/138

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taro Stampa, montato su di un tavolino là tra il mucchio delle suppellettili sgomberate in mezzo al vicolo, quasi saltando e con furiosi gesticolamenti, si mise a urlare:

— Fermi! Fermi! State a sentire! Vengo a nome del notaro Stampa! State a sentire! Marco di Dio! Dov’è Marco di Dio? Vengo a nome del notaro Stampa ad avvertirlo che c’è una donazione per lui! Quest’usurajo Moscarda... —

Ero, non saprei dir come, tutto un fremito, in attesa del miracolo: la mia trasfigurazione, da un istante all’altro, agli occhi di tutti. Ma all’improvviso quel mio fremito fu come tagliuzzato in mille parti e tutto il mio essere come scaraventato e disperso di qua e di là a un’esplosione di fischi acutissimi, misti a urla incomposte e a ingiurie di tutta quella folla al mio nome, non potendosi capire che la donazione l’avessi fatta io, dopo la feroce crudeltà dello sgombero forzato.

— Morte! Abbasso! — urlava la folla. — Usurajo! Usurajo! —

Istintivamente, avevo alzato le braccia per far segno d’aspettare; ma mi vidi come in un atto d’implorazione e le riabbassai subito, mentre quel giovine di studio sul tavolino, sbracciandosi per imporre silenzio, seguitava a gridare:

— No! No! State a sentire! L’ha fatta lui, L’ha fatta lui, presso il notaro Stampa, la donazione! La donazione d’una casa a Marco di Dio! —

Tutta la folla, allora, trasecolò. Ma io ero quasi lontano, disilluso, avvilito. Quel silenzio della folla, nondimeno, m’attrasse, come quando s’appicca il fuoco