Pagina:Pirandello - Uno nessuno e centomila, Milano, Mondadori, 1936.djvu/17

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quel mio amico seguitava a starmi davanti con quell’aria d’incredulità derisoria, per vendicarmi gli domandai se egli, dal canto suo, sapesse d’aver nel mento una fossetta che glielo divideva in due parti non del tutto eguali: una più rilevata di qua, una più scempia di là.

— Io? Ma che! — esclamò l’amico. — Ci ho la fossetta, lo so, ma non come tu dici. —

— Entriamo là da quel barbiere, e vedrai, — gli proposi subito.

Quando l’amico, entrato dal barbiere, s’accorse con maraviglia del difetto e riconobbe ch’era vero, non volle mostrarne stizza; disse che, in fin dei conti, era una piccolezza.

Eh sì, senza dubbio, una piccolezza; vidi però, seguendolo da lontano, che si fermò una prima volta a una vetrina di bottega, e poi una seconda volta, più là, davanti a un’altra; e più là ancora e più a lungo, una terza volta, allo specchio d’uno sporto per osservarsi il mento; e son sicuro che, appena rincasato, sarà corso all’armadio per far con più agio a quell’altro specchio la nuova conoscenza di sè con quel difetto. E non ho il minimo dubbio che, per vendicarsi a sua volta, o per seguitare uno scherzo che gli parve meritasse una larga diffusione in paese, dopo aver domandato a qualche suo amico (come già io a lui) se mai avesse notato quel suo difetto al mento, qualche altro difetto avrà scoperto lui o nella fronte o nella bocca di questo suo amico, il quale, a sua volta... — ma sì! ma sì! — potrei