Pagina:Pirandello - Uno nessuno e centomila, Milano, Mondadori, 1936.djvu/171

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non m’ero mai veduto fino a poco tempo addietro com’essi mi avevano sempre veduto, cioè uno che vivesse tranquillo e svagato sull’usura di quella banca, pur senza doverla riconoscere apertamente. L’avevo appena appena riconosciuto in loro presenza, ed ecco che all’uno e all’altra era sembrata un’ingenuità così inverosimile da suscitare nell’uno quella comica furiosa mimica e nell’altra quell’interminabile risata. E come dunque dir loro che su questa “ingenuità„ appunto, ai loro occhi quasi incredibile, io fondavo tutto il peso di quella risoluzione? Ma se usurajo ero sempre stato, sempre, da prima ancora che nascessi? Non m’ero visto io stesso sulla strada maestra della pazzia incamminato a compiere un atto che agli occhi di tutti doveva apparire appunto contrario a me stesso e incoerente, ponendo fuori di me la mia volontà, come un fazzoletto che mi cavassi di tasca? Non avevo io stesso riconosciuto che il signor usurajo Vitangelo Moscarda poteva sì impazzire, ma non si poteva in alcun modo distruggere?

Ebbene, ma questo, proprio questo, era il “punto vivo„ ferito in me, che m’accecava e mi toglieva in quel momento la comprensione di tutto: che usurajo no, quell’usurajo che non ero mai stato per me, ora non volevo più essere neanche per gli altri e non sarei più stato, anche a costo della rovina di tutte le condizioni della mia vita. Ed era finalmente in me un sentimento, questo, ben cementato dalla volontà che mi dava (benchè lo avvertissi fin d’allora con una certa apprensione e diffidenza) la stessa consistente so-