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Mi volevano proprio interdire, denunziandomi come alterato di mente. Dida le aveva annunziato che già erano state raccolte e ordinate tutte le prove, da Firbo, da Quantorzo, da suo padre e da lei stessa, per dimostrare la mia lampante alterazione mentale. Tanti erano pronti a farne testimonianza; finanche quel Turolla che avevo difeso contro Firbo e tutti i commessi della banca; finanche Marco di Dio a cui avevo fatto donazione d’una casa.
— Ma la perderà, — non potei tenermi dal fare osservare ad Anna Rosa. — Se sono dichiarato alterato di mente, l’atto della donazione diventerà nullo! —
Anna Rosa scoppiò a ridermi in faccia per la mia ingenuità. A Marco di Dio dovevano aver promesso che, se testimoniava come volevano loro, non avrebbe perduto la casa. E del resto, poteva, anche secondo coscienza, testimoniarlo.
Guardai sospeso Anna Rosa che rideva. Ella se n’accorse e si mise a gridare:
— Ma sì, pazzie! tutte pazzie! tutte pazzie! —
Se non che, lei ne godeva, le approvava, e più che più se con esse volevo arrivare veramente a quella più grande di tutte: cioè di buttare all’aria la banca e d’allontanare da me una donna che m’era stata sempre nemica.
— Dida?
— Non crede?
— Nemica, sì, adesso.
— No, sempre! sempre! —
E m’informò che da tempo cercava di fare inten-