Pagina:Pirandello - Uno nessuno e centomila, Milano, Mondadori, 1936.djvu/23

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vi prego di credere che l’unico modo d’esser soli veramente è questo che vi dico io.

La solitudine non è mai con voi; è sempre senza di voi, è soltanto possibile con un estraneo attorno: luogo o persona che sia, che del tutto vi ignorino, che del tutto voi ignoriate, così che la vostra volontà e il vostro sentimento restino sospesi e smarriti in un’incertezza angosciosa e, cessando ogni affermazione di voi, cessi l’intimità stessa della vostra coscienza. La vera solitudine è in un luogo che vive per sè e che per voi non ha traccia nè voce, e dove dunque l’estraneo siete voi.

Così volevo io esser solo. Senza me. Voglio dire senza quel me ch’io già conoscevo, o che credevo di conoscere. Solo con un certo estraneo, che già sentivo oscuramente di non poter più levarmi di torno e ch’ero io stesso: l’estraneo inseparabile da me.

Ne avvertivo uno solo, allora! E già quest’uno, o il bisogno che sentivo di restar solo con esso, di mettermelo davanti per conoscerlo bene e conversare un po’ con lui, mi turbava tanto, con un senso tra di ribrezzo e di sgomento.

Se per gli altri non ero quel che finora avevo creduto d’essere per me, chi ero io?

Vivendo, non avevo mai pensato alla forma del mio naso; al taglio, se piccolo o grande, o al colore dei miei occhi; all’angustia o all’ampiezza della mia fronte, e via dicendo. Quello era il mio naso, quelli i miei occhi, quella la mia fronte: cose inseparabili da me, a cui, dedito ai miei affari, preso dalle mie