Pagina:Pisacane - Saggio sulla rivoluzione.djvu/34

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Nel pensiero di Campanella, di Pagano, di Filangiero, di Romagnosi noi scorgiamo, o espressa, o sottintesa, o come conseguenza di quei principî, la rivoluzione sociale. Quindi il pensiero italiano raggiunse ben presto le sue ultime conseguenze. Ma come procede il popolo verso questa meta? Ora oppresso da esorbitanti gravezze sollevasi nella gigantesca Napoli, terribile come la natura in corruccio, e, condotto da un pescatore, sbaraglia il mal governo che l’opprime; ora si raccoglie in Lucca intorno ad un nero e stracciato vessillo, e minaccia i ricchi; ora assale, al segnale di Balilla, e caccia lo straniero dalle mura di Genova; ora favorisce il Francese per odio contro il Tedesco; poi favorisce questo per odio di quello; finalmente, dopo tanti esperimenti e tante delusioni, comincia a riconoscere la necessità di conquistarsi una patria, e l’idea d’indipendenza Italiana la personifica in un Papa, poi in un Re, ed ora attende i nuovi fatti che verranno a trarlo dall’incertezza in cui gli ultimi disastri l’hanno gettato. A traverso di tanti esperimenti raggiungerà la meta, e, distruggendo l’edificio incantato dei pregiudizii e delle opinioni, adatterà la sua costituzione alle leggi magistrali della natura, le quali già da lungo tempo servon di norma ai nostri pensatori. Quindi è assurdo che il progresso dell’idea faccia progredire i fatti; è assurdo pretendere di giudicare dalle idee espresse dagli scrittori, il progresso di cui un popolo in una rivoluzione è capace. Per giudicarne, bisogna studiarne la sua storia, e dallo studio delle peripizie a cui è soggiaciuto, potrà conoscersi ciò che esiste nella coscienza nazionale, ovvero quell’universal sentimento che si manifesta nel moto, lo regge e ne prescrive i limiti. Se un tal sentimento non sarà un’idea chiara e distinta, ma prenderà norma dai mali esistenti che a pena cercherà di toccare senza distruggerli, il moto sarà sviato, represso,