Pagina:Pisacane - Saggio sulla rivoluzione.djvu/50

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all’ammirazione prevalse il desiderio di rapina; i nostri tardi discepoli gettandosi sul nostro corpo infralito da vecchiezza, lo sbranarono. L’Italia venne disseccata dalla vitalità che assorbirono i conquistatori; noi ricevemmo da essi barbarismo, vanità ed ozio. In tale epoca la degradazione compresse in noi ogni elaterio dell’animo; lo splendido medio-evo moriva, e per indolenza si amò da noi la stessa tirannide, si abborrì la libertà per amor dell’inerzia; obbedienza a chi comanda, disse con gran verità il Sismondi, fu la formola che raccolse in sè ogni precetto politico fondato sulla avversione alla lotta, e nel costante desiderio del riposo.

Dall’Italia gettiamo un rapido sguardo al resto d’Europa, che sorge anch’essa dalla rinnovata barbarie. Da per tutto vediamo la concione dei baroni sovrana, il popolo servo, il re magistrato. Il risorgimento dei comuni riformò in Italia questa società, ma presto cogli oltremontani, l’elemento barbaro prevaleva al romano, le città mancavano di quella vita che si svolse in Italia, e tale rivoluzione avrebbe dovuto compiersi su vastissimi imperi, e però le cose procedettero diversamente. Nelle città il re eletto dai forti, poco differiva da essi, nè poteva per l’immediato contatto esercitare un grande ascendente. Quando il popolo sente, il bisogno di distruggere l’oligarchia, la prima idea pratica che gli suggerisce l’istinto è quella di surrogare ad essi gli eletti del popolo; quindi la democrazia trionfa; per contro in un vasto impero in cui il re solo in una capitale si estolle agli occhi del volgo al disopra dei feudatari, i popoli per francarsi dalla prepotenza di questi divennero collegati del re, e poi si trasformarono da vassalli in sudditi della corona, e la regia potestà trionfò, e con essa venne stabilito il diritto divino; e questo diritto prova che l’opinione universale e la rivoluzione tendevano, come era naturale, al governo dei migliori;