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Pagina:Pitrè - Canti popolari siciliani I, 1891.djvu/194

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168 CANTI POPOLARI


Leicht trae, e fa bene, il più sicuro documento per giudicare di quel dialetto e della suscettività intellettuale, del grado di sensibilità, delle abitudini di quel popolo. Queste trecento quartine di versi ottonari nominano due volte l'Ungheria; una Napoleone, le cui file segue lo amante quando in Parigi, quando in Udine, quando in Milano, ricordando sempre le care montagne native e forte temendo un mutamento di fede in quella donna che a sua volta dubita della fede di lui promettente costanza ed amore eterno. Non canti di disperazione, non di sventura; ne’ pochi di corruccio, le offese riduconsi solo ad epiteti scambiati tra l’uomo e la donna, a’ quali pare estranea la sanguinaria gelosia siciliana. Del resto v’hanno nella Carnia brevi canti, per numero di sillabe, per accentuazione, per aggruppamento di rime conformi a’ toscani, diversi affatto da questi dello Spilimbergo, ne’ quali il giovane confessa d’essersi innamorato in Chiesa (vedi mo’ se è vero che gl’Italiani fanno all’amore in chiesa!) e benedice alla mamma che mise al mondo una sì bella figliuola:

  Une dì bel lant a messa,
La vardai tal ciaminà’;
In che glesia benedeta,
Mi finii d’inamorà’.

  Benedetta sei to mari,
Che à mitut che fia al mond,
Cun che biela vitulina,
Cun chel pett cussì tarond.

Codeste sono vilotis o canzonetis, e si discostano dalle altre d’Italia per il metro, che s’incontra nella Spagna,