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STUDIO CRITICO SUI CANTI POPOLARI 41

trosa si guadagna un equivoco, un frizzo da tutti inteso. Anzi vo’ io dimandare: che è nei seguenti stornelli, che non ispiri grazia e gentilezza?

  Ciuri di canna!
Vistuta mi pariti ’na palumma:
L’occhiu mi dici sì, lu cori ’nganna.
  Ciuri di maju!
Licenzia v’addumannu e mi nni vaju1.

Ma non bisogna credere che si tratti sempre di fiori; anzi essi sono così rari che rappresentano una eccezione. Il canto carnescialesco è piuttosto irregolare, e se ad una forma si avvicina questa è la terzina.

Non tengo parola delle Parti, che nascono all’occasione di un fatto importante, o che si fanno in lode o in biasimo di persone e cose particolari, onde la frase nèsciri li parti; nè de’ canti che accompagnano i giuochi fanciulleschi intesi Jòcura, i quali mi saranno argomento di altro studio2: nè tampoco della Puisia, nome esteso a qualunque forma poetica popolare, che non venga cantata o che sia diversa dalle altre finora discorse. Un ultimo genere di componimenti, di cui non solo nell’infima classe della società, ma anche ne’ poeti più grandi, analfabeti o no, da Veneziano a La Sala, si possiedono dei saggi, è il Dubbiu, molto più nobile

  1. Sulle canzoni carnescialesche in Sicilia vedi gli Studi di poesia pop., p. 55 e i cit. Usi e Costumi, v. I, pp. 58 e 113. (Nota della presente edizione).
  2. Vedi Giuochi fanciulleschi siciliani. Palermo, 1883. (Nota della pres. ediz.).