Pagina:Platone - Fedro, Dalbono, 1869.djvu/68

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e quando vede il suo amato si sente mancare per la paura; così solamente avverrà che l’anima dell’amante possa seguitare con certa verecondia e pudore il suo diletto.

«Or quando l’amato si vegga circondato di ossequi dal suo amante, come a somiglianza di un nume, amante che non finge amore ma lo sente di fatto, e quando egli stesso sia portato da natura a questo amore, volge l’affetto a colui che lo accarezza, e se anche per l’innanzi sia stato ripreso fortemente dai suoi compagni di adolescenza e da qualche altro, col dirgli quanto è brutta cosa aver commercio con l’amante e che per questa ragione egli lo abbia respinto da sè; pure coll’andare di un certo tempo, tanto l’età, quanto il bisogno lo spingeranno ad ammetterlo nella sua pratica, perchè non è stato mai scritto nel destino che il tristo ami il tristo e che il buono non debb’amare il buono. Ed ammesso che l’abbia nei suoi favori e accolti i suoi discorsi e la sua dimestichezza, ecco l’affetto dell’amante che riempie di stupore l’amato, il quale si avvede che gli altri amici e familiari, tutti raccolti in uno, non gli danno tanta copia d’affetto quanto un amante che sia ripieno di sacro furore. Ma quando prosegue nel far ciò e viene in commercio con esso, avvicinandolo o nei ginnasi o nelle altre adunanze, ne avviene finalmente