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nei particolari che sarà una conseguenza inevitabile del piano. Comincierò con una discesa, e per risalire mi riservo quelle considerazioni di quantità indispensabili alle quali ho già fatto allusione.

Cominciamo, dunque, subito colle più semplici delle parole: «Infinito.» Questa espressione, come quelle altre: «Dio», «Spirito», ed alcune altre ancora i cui equivalenti esistono in tutte le lingue, non è certamente l’espressione di un’idea, ma uno sforzo per arrivare ad un’idea. Essa rappresenta un tentativo possibile per arrivare ad una concezione impossibile. L’uomo aveva bisogno di un termine per indicare la direzione di questo tentativo — la nube dietro cui sta. per sempre invisibile, l’objetto di questo tentativo. Infine si domandò una parola per mezzo della quale un essere umano potesse mettersi prontamente in relazione con un altro essere umano, con una certa tendenza dell’intelletto umano. Da questa domanda ebbe origine la parola: «Infinito», che non rappresentò così altro che il pensiero di un pensiero.

Per quanto riguarda quell’infinito, or ora considerato — l’infinito di spazio — noi abbiamo sentito dire soventi che «la sua idea è ammessa dalla mente — si accorda con essa — ne è accolta — riguardo alla maggiore difficoltà che è inerente alla concezione di un limite». Ma questa è semplicemente una di quelle frasi colle quali anche i più profondi pensatori, da tempo immemorabile, si compiacquero d’ingannar sè stessi di quando in quando. L’inganno sta nascosto nella parola «difficoltà». «La mente», ci dicono, «concepisce l’idea dello spazio senza limiti a cagione della maggiore difficoltà che trova nel concepire l’idea dello spazio limitato». Ora, se la proposizione fosse posta imparzialmente, la sua assurdità diverrebbe subito evidente. Realmente, in questo caso non vi è nessuna difficoltà per quanto semplice. L’asserzione proposta se viene presentata secondo la sua intenzione, senza sofisticherie, sarebbe espressa cosi: — «La mente ammette l’idea dello spazio illimitato a cagione della maggiore impossibilità di concepire l’idea dello spazio limitato»

Si vedrà che qui non si tratta di due rapporti, sulle cui rispettive probabilità — o di due argomenti, sulle cui rispettive validità — la ragione sia chiamata a decidere — si tratta di due concezioni direttamente in conflitto, entrambe manifestamente impossibili, una delle quali può essere concepita dall’intelletto a cagione della maggiore impossibilità di concepire l’altra. La scelta non è fatta fra due difficoltà; si suppone che sia fatta semplicemente fra due impossibilità. Ora la prima ammette dei gradi, ma l’ultima nessuno, appunto come ha già detto il nostro impertinente autore della lettera. Un dovere può essere più o meno difficile, ma