Pagina:Poemetti italiani, vol. X.djvu/179

Da Wikisource.

175


     Frequentemente a quell’umil capanna
Io mi condussi e pace ivi trovai,
Che tra la folla rea dei cuor tiranna
Si perde e si riacquista o tardi, o mai.
Egli col canto l’atre cure inganna.
Se parla, ogni saper vince d’assai.
Caro io lo tengo e da ogni esterna offesa
Sua debil povertà tengo difesa.

     Sovente in me con i consigli suoi
La non facil del regno arte diresse,
E con succo vital più volte poi
Anche m’invigorì le fibre oppresse.
Scorse un anno così che furo in noi
Rette da un sol desio le voglie istesse,
Quando un dì che all’ovile i passi muovo
Quanto da quel di pria diverso il trovo!

     Lungi, disse, men vo. Non più Tersite
Io son, la forma e il nome oggi ne scuoto,
Prence, Apollo son io che con mentite
Sembianze vissi in questa terra ignoto.
Giove il mio genitor, che l’aer mite
Crolla col guardo e di sua fronte al moto,
Odiando Esculapio a me diletto,
Accesa punta fulminogli al petto.