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PREFAZIONE | cvii |
sima, sanno che in tutte le regioni dell’Ellade son diffuse una quantità di arcaicissime statue che, pure essendo sculte in marmo, ricordano gl’idoli primitivi intagliati nel tronco d’un albero. È assai verisimile che siano tutte quante repliche d’un prototipo unico, d’un famoso Apollo scolpito dagli artisti cretesi, Diponois e Skillis, che lavoravano nel Peloponneso verso la fine del secolo VII. Ma il tipo unico prende varia impronta nei varii paesi. E siccome quasi tutte queste statue sono di gran mole, e dunque difficilmente se ne può supporre la provenienza straniera, esse valgono come sicuri indici di attitudini, di tendenze, di artistica sensibilità locale.
E le impronte d’un’arte indigena sono visibili piú che altrove in questo gruppo del tempio d’Apollo Ptoo.
E udiamo senz’altro le parole di Holleux, lo scopritore: parole che hanno singolare importanza, perché immuni d’ogni tendenza dimostrativa, e scritte in tempi in cui le idee da noi esposte intorno alle origini greche, erano ancora oscure ed incerte. «I primitivi scultori della Beozia, — dice Holleux1 — hanno piú sentimento che talento: poca perizia, ma molta scioltezza: le loro opere rimangono assai lontane dalla perfezione plastica, ma sono assai vicine alla natura: essi ignorano quello che si può imparare, ma posseggono istintivamente alcune qualità che non si acquistano».
E a proposito d’una testa di pietra trovata il 1885, il Diehl, ponendola a confronto con l’Apollo d’Orcòmeno, anch’esso, forse, di mano beota, ma piú pedissequo all’originale, dice che «la sua energia brutale e la singolare espressione segnano già una vera originalità. Certo — soggiunge — l’opera è piena di difetti; ma anche d’intenzioni e di promesse. Sotto la mano ancora inesperta si sente un desiderio d’osservare, d’imitar la natura, una sincerità coscienziosa ignota alle scul-
- ↑ Bull. de corr. hellénique, XI, 360.