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xlviii ESIODO

In questi fida Giove, e agli uomini e ai Numi comanda.

E cosí, dopo le due monarchie assolute di Urano e di Crono, è questa una monarchia temperata: il Re comanda, ma con l’assistenza di un gran consiglio. Immagine perfetta della monarchia che vediamo riflessa nei poemi d’Omero.

Quando poi scoppia la guerra coi Titani, li chiama tutti a raccolta, e fa loro promesse (330):

               l’Olimpio che i folgori avventa
tutti gl’Iddei chiamò che vivono eterni, e promise
che quanti seco adesso pugnassero contro i Titani,
nessuno privo andrebbe di doni, e ciascuno l’onore
avrebbe, ch’era un dí suo retaggio fra i Numi immortali.
E chi non ebbe onori da Crono, soggiunse, né doni,
onori e doni, come Giustizia desidera, avrebbe.

Non sono i procedimenti di un Nume onnipossente, bensí quelli di un re della terra, e di un re che non si sente sicurissimo del fatto suo.

Cosí, quando, ad onta della sicura alleanza di tutti questi Cronídi, non gli riesce di sconfiggere i Giapetidi (Titani), ricorre a nuove alleanze, e non si pèrita di andarle a cercare fra i nemici debellati, quelli che Esiodo rappresenta centímani. Si rilegga ora tutta la scena. Giove fa uno dei soliti consigli di principi. Qui Gea — poi parleremo di questa figura — prende la parola, e consiglia di ricorrere all’aiuto di questi antichi nemici, che Giove aveva combattuti pel timore che esso aveva «della loro grandezza, la forza stragrande, l’aspetto» e li aveva relegati «ai solidi confini della terra». Giove si lascia convincere: ed ecco i Centímani, o, meglio, una loro ambasceria, venire in Olimpo. Giove offre prima un rinfresco, poi fa un vero e proprio discorso, chiedendo la loro alleanza