Pagina:Poemi (Esiodo).djvu/58

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liv ESIODO

pure trova la sua giusta applicazione in parecchi casi, e in questo, mi sembra, principalissimamente.

Il poeta le consacra dunque un lungo brano (411-452), che a ragione fu definito «Inno ad Ecate», e a torto, credo, fu dichiarato orfico e tardo, e voluto espungere dal contesto. In esso, dunque, enumerati i feudi e gli onori che Giove le attribuisce, parla di altre sue prerogative assai piú interessanti, perché rispecchiano senza dubbio dei particolari rituali.

Dunque, dice il poeta, ciascuno degli uomini, offrendo sacrifici, invoca Ecate. Essa reca giovamento a chi vuole: siede accanto ai giudici in tribunale: assiste gli oratori in assemblea: i guerrieri in campo: gli atleti negli agoni: i cavalieri nelle gare di corsa: i pescatori: i bifolchi e i pastori: tutti quanti i bambini.

Essa è l’unica creatura divina di cui nella Teogonia si specifichino cosí gli attributi. E questi attributi investono tutta, senza eccezione, la vita, e tutte le attività umane: tanto che per gli altri Numi rimane ben poco; e quell’Enosigeo e quell’Ermete chiamati in collaborazione con lei alla tutela dei pescatori e dei bifolchi, sono cosí palesemente uno zuccherino, che quasi c’inducono al riso.

Non abbiamo dunque una delle divinità olimpiche, fra le quali sono divisi gli onori e gli oneri di fronte ai mortali; bensí una divinità unica, che assorbe tutti di per sé sola e quelli e questi. E una divinità femminile. E mentre non appartiene, almeno ufficialmente, alla prima e piú brillante schiera degli Olimpii, riscuote però onori come nessuno di quelli.

Questi fatti, allo stato attuale degli studii di storia delle religioni, parlano assai chiaro. Ecate è una Dea extraolimpia, cioè anteriore alla invasione olimpica: una divinità pelasgica, che, secondo ogni verisimiglianza, aveva specialissimo culto in Beozia. Sopravvenuti i nuovi Numi, la accolgono nella loro schiera; e qui ella rimane, in ombra, ma pure serbando presso