Pagina:Poemi (Esiodo).djvu/79

Da Wikisource.

PREFAZIONE lxxv


Ed eccoci al lavoro dei campi.

Prima di esaminarlo, dobbiamo svolgere un punto già toccato a proposito della poesia di Esiodo in genere. Questo brano non è un poemetto didascalico nel senso piú comune ed accademico, nel quale gli ammaestramenti abbiano un’importanza affatto secondaria, e non siano se non il pretesto per le belle fioriture, le descrizioni, le digressioni, le apostrofi, le adulazioni. È un vero e proprio trattatello, che doveva avere per la Beozia d’Esiodo lo stesso valore, su per giù, che nel mondo latino poté avere il De re rustica di Catone, o ai nostri giorni uno dei tanti manuali che servono ai dilettanti, ed anche, a tempo e luogo, ai professionisti.

Qualche antico, veramente (p. es. Cicerone, Plinio, Plutarco), volle contestarne il valore, massime perché non vi si fa alcuna menzione di parecchie importanti opere agricole (p. es. la concimazione, la falciatura: delle api, appena si tocca). Ma l’antichità, in genere, ci credé. Un oracolo scoperto il 1890 negli scavi del santuario delle Muse in Tespia, diceva1:

Gli uomini che seguiranno d’Esiodo i precetti, godranno
vita ordinata, e avranno di frutti gremita la terra.

E l’Ampère, nell’opera già piú volte ricordata, afferma che i contadini di Beozia traevano giovamento, anche ai suoi tempi, dai precetti d’Esiodo. E Giambattista Grassi Privitera, in una sua gustosissima versione de Le opere e i giorni in dialetto siciliano, asserisce che il poemetto può servire ancora oggi ai contadini di Sicilia2.


  1. Riferito in Peppmüller, Hesiodos, pag. 152, nota 2.
  2. Li chiffari e li jurnati, Palermo, 1919.