Pagina:Poesie complete di Vittoria Aganoor, Firenze, Le Monnier, 1912.djvu/482

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vida, un terrore così profondo, che, non so come, mi tornò a mente l’inesaudita domanda del Salvatore: — «Padre, s’è possibile allontanami questo calice!»

— Mi pareva — balbettai tutto rimescolato — dubitavo..., ma...

— Ma che cosa? — m’interruppe ansioso il buon vecchio, con voce più chiara, mentre s’appoggiava con una mano all’armadio.

— Ma potrei sbagliare — risposi deciso.

— Torni domani — supplicò egli, stringendomi la mano — torni domani!... — E la voce gli tremava, e gli vidi veramente delle lagrime negli occhi.

Promisi e me ne andai; ma, quando fui sul sagrato, mi volsi indietro; avevo lasciato quel povero vecchio solo, tremante, disperato...; chi sa? forse bisognoso d’aiuto per tornarsene a casa, forse... Ma no, dalla sagrestia si passava certo in canonica e adesso non lo troverei più. Tornai all’albergo.

Un povero albergo davvero, ma pulito, e la sera vi si riunivano le poche autorità del villaggio, perchè sotto v’era la farmacia. La grossa voce del dottore, col quale avevo fatto la conoscenza la sera innanzi, usciva intermittente dalle finestre a terreno; s’udivano le parole: raccolto; opere; semine; già! sicuro! il solfato di rame... una bella pagliacciata anche quella; altro ci voleva!

— Buona sera!

— Buona sera! —

Ricambiai il saluto con un cenno collettivo del capo,