Pagina:Poesie di Giovanni Berchet.djvu/14

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mere, come è cura de’ loro confratelli obbedientissimi a’ Governi, ma bensì aiutare a svilupparsi gl’intelletti affidati alla educazione di loro. Altre belle cose, e di ben altro interesse, e di ben altra utilità che non i miseri versi miei, raccoglierebbonsi per via da que’ giovinetti, ov’eglino, per quanto pur lo permettono le memorie che ci rimangono, procurassero di informarsi ben bene del secolo della Lega Lombarda. Quante virtù da impararvi! Quanti errori da ravvisarvi, onde schivar di ripeterli! Che lezioni! che confronti! che speranze! E se non foss’altro, nelle cronache tedesche vedrebbero gli studiosi apparire fin da que’ tempi negli inimici nostri una propensione al goffo svisare i fatti, alla matta sfrontatezza del mentire le intenzioni, al maligno travolgere d’ogni principio morale, una mala fede insomma, una malvagità da far tuttavia onore a qualunque Consiglio Aulico de’ tempi nostri.

Dopo tante parole sprecate a dire ch’io non doveva intrigarmi in note, dopo d’avere imbrattate più pagine che le note stesse non avrebbero probabilmente occupato, bisogna pure, dilettissimi miei, ch’io vi confessi che una nota nè manco il diavolo m’avrebbe rattenuto dallo scriverla, se mi fosse capitato per le mani il testo su cui fondarla: tanto è vero che le azioni nostre trascorrono sovente a fare a’ pugni co’ principii che professiamo! Ma la è così. Avrei dato direi quasi un mezz’occhio per poter pubblicare i nomi degli illustri Italiani che si congregarono a congiura nel convento di Pontida. I nomi di quelli che raccogliendo primi il frutto coltivato dalla congiura, maturato dalla battaglia, sottoscrissero in Costanza l’atto di pace, tutti il sanno. Alcuni pochi anche de’ nomi de’ combattenti a Legnano ci sono rimasti, come a dire quello di un Alberto da Giussano, capo della Compagnia della Morte. Ma i nomi di coloro che primi parlarono di concordia dove non era che risse, che primi concepirono l’alto pensiero